Ambientato nella Omo Valley il racconto dell’esperienza etiope di Danilo Mauro Malatesta ci parla con la forza delle immagini della vita delle popolazioni indigene e del loro rapporto con il fiume Omo, l’impetuoso gigante che precipita dai 2500 metri dell’altopiano etiopico fino ai 500 metri dell’immenso lago Turkana, al confine con il Kenia, dove sfocia. Settecentosessanta chilometri di ripida discesa in cui da sempre l’Omo semina vita garantendo con le sue periodiche esondazioni le coltivazioni di numerose tribù indigene.
L’interpretazione del regista romano ci rivela la lenta asfissia cui sono sottoposti questi popoli a causa dei continui interventi sul corso del fiume, interrotto già in diversi punti per la costruzione di dighe che ne sfruttano la potenza per la produzione di energia idro elettrica.
Sono immagini forti, che ritraggono donne, uomini e bambini appartenenti a queste tribù velati da un telo di cellofan che sembra volerli proteggere ma invece li soffoca, come a esprimere la metafora del loro destino, profondamente legato al corso di un fiume orami segnato dai numerosi interventi in favore dell’agricoltura intensiva.
Le popolazioni della Omo Valley, descritta come una delle civiltà più antiche dell’Africa escono di scena piano piano contro ogni forma di riconoscimento dell’eredità del loro patrimonio culturale, senza godere di alcun beneficio e dietro la pellicola di Malatesta sbiadiscono in questa ingannevole protezione che ne smorza i tratti caratteristici, che ne cancella i colori, gli ornamenti, le loro forme, tutto appare attenuato, sbiadito, indebolito, annebbiato e in parte cancellato in nome di un progresso incerto e dai dubbi benefici.
Nelle parole dell’interprete, tutta la forza di questi scatti:
Le foto sono state realizzate utilizzando un banco ottico contro ogni oggettiva difficoltà di spostamento dell’attrezzatura, di tempi molto lunghi per la realizzazione, di problemi antropologici per convincere i protagonisti a farsi fotografare con una tecnica fotografica fatta di molti passaggi da compiere, di tempi dilatati per ottenere una realizzazione grafica che si oppone al digitale, ai tempi veloci del progresso segnando una profonda diversità rispetto alla filosofia moderna, che attribuisce un altro valore al tempo”
Tempo vissuto per secoli come attesa delle esondazioni e che ora diventa donazione di un sorriso, di un gesto di solidarietà tirato fuori dal vuoto della più totale privazione. Ed è così che nel cuore dell’Africa, un piccolo circo itinerante si muove come una sonda alla ricerca di immagini da traghettare chissà dove, Danilo Mauro Malatesta, l’antropologa etiope Mercy l’autista Isaac, le guide locali e il grande banco ottico alla scoperta dei mille chiaroscuri di un popolo che si esprime attraverso i suoi valori, le credenze, le conoscenze, un insieme di tradizioni da trasmettere alle generazioni future come eredità e una natura indimenticabile che non vuole farsi dimenticare, non vuole smettere di esistere.